Architettura, comprensione del brano 1
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Domande test Architettura, comprensione del brano 1
Architettura e cultura nella Francia del Rinascimento
Non è facile descrivere, valutare, interpretare il Rinascimento francese. Non crediamo più che in esso si debba vedere l’avvento puro e semplice,
in tutti i campi, della «modernità». Su tutti i punti in cui pensavamo di riconoscere le promesse dell’avvenire, l’autonomia politica, lo spirito di
osservazione, il recupero dell’arte antica, lo sviluppo della ricerca scientifica – il bilancio finale è molto più contraddittorio di quanto non si
credesse. Di qui, la ragionevole conclusione che l’effettiva novità stesse nella scoperta dei confitti e delle diversità, nel senso di contrasti che
spaventano o fanno sorridere, nelle lacerazioni interiori, di cui la crisi religiosa fu una delle manifestazioni più crudeli. Tuttavia, questa visione
non tiene a sua volta sufficientemente conto dello straordinario slancio di vitalità che investì, durante tutto il Cinquecento, l’intera società, con
indimenticabili riverberi nella letteratura e nell’arte. Di qui, il profondo imbarazzo degli storici, coscienti dell’impossibilità di ricondurre questo
immenso sviluppo ad una definizione efficace. Troppi sono gli aspetti del problema: la civiltà, di cui la Francia – come sempre – pretende di farsi
portatrice, è allo stesso tempo troppo ambiziosa (le «buone maniere», la «cortesia») e troppo solidale al passato medievale che persiste. Gli
intrecci del «pensiero simbolico» caratteristico dell’epoca sono stati fin troppo trascurati. Ovviamente non è possibile isolare gli episodi francesi
dal contesto europeo. Ma nello studio dei fenomeni artistici – il quadro, sia detto senz’ambagi, deve essere interamente rivisto e completato – si è
spesso abusato dei riferimenti a fonti e influenze.
Da oltre un secolo, sono due le linee interpretative che si alternano: il dinamismo degli esempi italiani scoperti grazie alle conquiste e, dall’altra
parte, l’azione dei modelli fiamminghi e renani diffusi attraverso il folgorante successo della grafica. Questi rapporti, che rimangono comunque
fondamentali, sono stati studiati e con profitto, ma sempre ipotizzando una sorta di sottomissione più o meno passiva ai modelli stranieri; la
conseguenza è stata quella d’avere trascurato un fattore essenziale, o che comunque sembra esserlo sempre di più.
I Francesi erano abituati ad essere gli artefici di tutte le mode dell’Occidente. Nel Quattrocento, le difficoltà della guerra all’estero e di quella
civile avevano duramente intaccato questo primato, senza però abolire nella coscienza dei potenti e delle élite l’idea di una superiorità nazionale,
che si sarebbe manifestata nuovamente. Gli scambi con gli ambienti italiani e con le botteghe settentrionali erano sempre stati complicati da
questa reazione istintiva. Si ha spesso l’impressione, ad esempio, che il ricorso da parte di scultori e maestri vetrai a modelli incisi da Dürer o da
Marcantonio avvalorasse la convinzione che quelle «impronte» non fossero che un contributo straniero al progresso dell’arte francese. Del resto,
gli smaltatori e i costruttori di cassoni creavano effettivamente elaborazioni inedite partendo dalle composizioni originali.
L’arte francese ha sempre operato un’«assimilazione selettiva» (la formula è quella di Erwin Panofsky), atteggiamento che presuppone una
solida autonomia e giustifica la disinvoltura o, se si preferisce, l’ingratitudine con cui allora trattava le sue fonti. Non ci si lascia mai suggerire del
tutto la strada da seguire.
Intorno a queste manifestazioni, che oggi ci stupiscono, si sono sviluppate alcune idee sui caratteri salienti del Rinascimento francese.
Innanzitutto, la concezione – molto più complessa e caotica di quanto non si creda solitamente – di un insegnamento di tipo nuovo, con la
prospettiva di un’ambiziosa «rivoluzione culturale» che era in sintonia, all’inizio, col pensiero di Erasmo.
Le decisioni che resero famoso Francesco I presupponevano un’analisi della società. Se diamo ascolto alle critiche degli italiani, l’aristocrazia
tradizionale era infatti tanto brillante quanto ignorante se messa a confronto con la nuova classe dei funzionari che includeva anche la nobiltà di
toga. È interessante controllare se e in che modo il pungente rimprovero alla nobiltà ha avuto conseguenze sul gusto, sull’architettura, sulle
collezioni. Anche se questo argomento affiora appena negli studi che seguono, esso ci ha permesso di individuare un tema di primo piano,
generalmente trascurato dagli storici della civiltà e della letteratura: l’ideale «cavalleresco», che sarebbe ingenuo credere fosse svanito con
l’avvento dei tempi nuovi.